Cetinale
La villa di Cetinale fu costruita dalla famiglia Chigi, verso la metà del XVII secolo, su progetto dell’architetto Carlo Fontana. Sul lato dell’ingresso spiccano un portico a tre arcate e un falso loggiato sovrastante, posti in un corpo centrale fiancheggiato da due stretti corpi sporgenti. L’altro lato è caratterizzato da una doppia scalinata a forbice che sale al primo piano e si conclude con un grande portale. Intorno si possono ammirare eleganti giardini all’italiana. Sull’altro lato della strada, circondato da un muro, si trova il vasto parco detto La Tebaide, costituito da un bosco di lecci con viali, cappelle, statue e laghetti. Sulla costruzione della Tebaide esiste una leggenda, ripresa dallo scrittore Idilio dell’Era, secondo la quale il cardinale Fabio Chigi (che in seguito sarebbe stato eletto al pontificato, prendendo il nome di Alessandro VII) fu un giorno invitato dal fratello ad andare a vedere alcune bellissime statue che questi aveva posto nei suoi possedimenti. L’eminentissimo partì immediatamente da Roma, in piena estate. Giunse dopo qualche giorno ai possedimenti del fratello e il pomeriggio successivo uscì per ammirare le opere d’arte. Fuori l’attendeva, al completo, il personale della fattoria, che, ricevuta la sua benedizione, lo precedette, a processione, nel viale delle statue. «Per ultimo veniva il cardinale che, sia stata la gran calura o il fratello massaro che, standogli alle costole, sin dall’apparire delle prime statue, cercava di suggestionarlo, spiegandogli come qualmente nessuno fino allora era mai riuscito a introdurre l’umanesimo in terra senese, sta di fatto che sua eminenza scambiava le lucide spalle carnicine e le splendide capigliature delle bellissime femmine ritte sui piedistalli, ciascuna sotto un leccio, per vere statue di Venere e di Giunone. “Meravigliose tanto che paion vive! – esclamava sua eminenza – Invero degne dello scalpello di Fidia e di Prassitele!”. Ma non aveva finito di esclamare che una di esse mosse il tornito piede, scalciò tal quale una cavalla pinzata da un tafano: la sua figura si scompose, agitò le braccia nel vuoto, le chiome le si scarruffarono ed essa precipitò dal piedistallo in una confusione di membra che parve un guizzo roseo tra lo scintillio dei rami. Sembrò un segno convenuto: al vocio improvviso della folla, le altre statue balzarono dai piedistalli e presero a fuggire, dietro la prima, a precipizio, nella foresta. Sua eminenza capì allora d’essere stato beffato e reclamò dal fratello la riparazione dello scandalo gli ordinò di costruire nel bosco tante cappelle quante eran codeste Veneri che avean posato sotto i lecci».

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